Viaggio nell'isola di Levanzo
- Angelo Benivegna
- 26 luglio 2013
C’era una volta a Levanzo un pozzo. Anzi ce ne erano due proprio sulla spiaggetta di Cala Dogana che divideva in due il villaggio. Adesso i pozzi non ci sono più, pochi hanno a casa la cisterna per raccogliere l’acqua piovana, e l’acqua viene portata dalle navi cisterna.
C’erano anche tre osterie dove gli isolani aspettavano che calasse la sera sorseggiando un bicchiere di bianco, quello che si produceva nella vigna del Palazzo Florio. Adesso non ci sono più osterie, non c’è più nemmeno la vigna e gli isolani aspettano la sera davanti la televisione.
Un tempo c’erano anche due negozi di alimentari, una mesticheria dove si trovava un po’ di tutto ed un negozio che commerciava lana, perché sull’isola c’era una fiorente pastorizia. Vi abitavano stabilmente due, tre centinaia di persone e c’era la scuola, adesso gli abitanti sono una sessantina e la scuola non c’è più.
Poi quando arriva la bella stagione l’isola si anima: arrivano i turisti, non tantissimi perché l’isola non dispone di molti posti letto e ci si deve accomodare anche nelle casette degli isolani. Quelli giusti di numero e di sentimenti, perché tutti si possa godere delle meraviglie di questa perla del Mediterraneo, così bella, così facilmente vivibile ed insieme così fragile.
Nel piccolo villaggio le macchine non possono circolare, non ci sono discoteche, nè sale giochi, in compenso c’è molto altro.
Cala Dogana si riempie di barchette e gommoni, mentre le barche a vela calano le ancore a cala Fredda o a Cala Minnola.
I “taxi a mare” scorazzano i turisti da una caletta all’altra, mentre i più pigri aspettano l’ora di pranzo nei bar, fra una granita, una briscola in cinque ed una occhiata ai quotidiani. Le famiglie portano i bambini al Faraglione o a Cala Fredda; i più giovani scelgono la selvaggia e maestosa cala Tramontana o un tuffo al Buco.
La sera ci si divide fra grigliate in terrazza, tavolate in pizzeria, cuscusu al ristorante e passeggiate sui moli. Levanzo è l’isola del tempo lento.
Ma anche l'isola oltre l'estate che pochi conoscono: quando i turisti giornalieri non sbarcano più, quando si diradano le corse degli aliscafi e l’isola regala autunni caldi e assolati che invitano a godere del mare quando nel resto del Paese i più hanno già spolverato i cappotti.
Con le prime piogge Levanzo si ricopre di vegetazione, di ciclamini e crocchi che invitano a scoprire l’isola che profuma di mirto e ruta, ed ha il sapore delle verdure selvatiche. Tirati a secco barche e gommoni, questa Levanzo “segreta” si scopre passeggiando: sentieri che attraversano fitti boschi di pini e si inerpicano in cima alle Serre si alternano a praterie di acetoselle dove pascolano greggi di pecore e capre; bianchi asfodeli dolci e profumati che contendono le colline alle ferule gialle; antiche strade conducono al faro di Capogrosso, ai tanti pagghiari, alle grotte dei nostri padri, alle cisterne, ai bagli.
Poi arriva l’inverno, il mare diventa brutto, ma i calamari abbondano ed i cestini di funghi si riempiono: il tempo sembra rallentare ancora di più e quando arriva la fine dell’anno scopri che esiste ancora un modo antico, semplice, diretto di celebrare la magia della natività e del capodanno, e ti ritrovi a festeggiare per strada, con gli altri isolani.
Poi scoppia la primavera, con la festa del santo patrono, la grigliata per strada, i giochi per i bambini, gli emigrati che tornano e la testa agli asparagi selvatici da raccogliere.
E poi ti ritrovi in maglietta ed infradito: a Levanzo torna l’estate, così, quasi senza avvertire.
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