I fichidindia. Eredità dei borboni

La grande muraglia siciliana di fichidindia si inerpica per sentieri e strade di campagna. Lambisce case coloniche, divide proprietà, segna passaggi, delimita scarpate. Non si vede dalla luna, ma è il monumento naturale che caratterizza di più il nostro territorio. Centinaia di chilometri di filari di fichidindia si arrampicano sulle pietre e disegnano il cuore e i contorni dell’isola, una striscia verde punteggiata di frutti rossi, gialli e arancioni.


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I fichidindia sono ovunque, nelle spianate assolate, sulle rupi, in mezzo a ulivi e viti, vicino al mare, fra templi greci e necropoli, nei giardini di monasteri e palazzi barocchi. Maturano così, senza tante cure, e resistono anche per diversi decenni. Ma non tutti sono buoni allo stesso modo, quelli di strada per esempio hanno più buccia che polpa e una bassa percentuale di acqua. I più gustosi crescono a San Cono, un paesino fra Piazza Armerina e Caltagirone, e a Santa Margherita Belice, al confine fra le province di Trapani e Agrigento. Una produzione, oltre 300.000 quintali, che pone queste due porzioni di Sicilia (trecento ettari circa) al secondo posto nel mondo dopo il Messico.


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Eredità Borbonica

In Sicilia i fichidindia arrivarono con i Borboni che in principio li utilizzarono come piante ornamentali e barriere frangivento. Solo nella seconda metà del Settecento il frutto entrò ufficialmente nel mangiare dei contadini prima, e nelle cucine nobiliari dopo.

fiori gialli raccolti in primavera si ricavava un decotto diuretico, rinfrescante, ricostituente, digestivo.

Da meno di mezzo secolo alla coltivazione familiare s’è affiancata quella intensiva e il primato della Sicilia si è consolidato soprattutto fra i consumatori europei. Fra agosto e settembre maturano i frutti più piccoli, dai primi di ottobre alla fine di novembre quelli più grandi chiamati bastarduna. Sono il risultato di una seconda fioritura e del diradamento dei nuovi frutti.

Coltivazione manuale e biologica, i fichidindia per affrontare il mercato vengono privati meccanicamente delle spine, operazione indispensabile per vendere i frutti fuori dall’isola. La varietà più diffusa è quella gialla; la più richiesta dai consumatori del nord è la rossa sanguigna, che a torto si crede più matura.

Ricchi di acqua (80%), zuccheri, calcio, fosforo, vitamina C, zinco e manganese, i fichidindia hanno proprietà antiossidanti. Il loro cuore a dispetto della buccia spinosa e delle decine di semi, è dissetante e polposo.


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E se proprio non si riesce a resistere alla tentazione di coglierne uno direttamente sulla pianta, è d’obbligo munirsi di un guanto o di un foglio di giornale. Al supermercato la scelta impone altre precauzioni, il frutto è fresco quando la scorza è tesa, lucida e brillante.


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Per sbucciarli il rito impone coltello e forchetta. Si tagliano le due estremità, poi si pratica un taglio longitudinale e sollevata la buccia con la lama del coltello si srotola delicatamente dalla polpa.

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