L'abbanniata siciliana
Il vociare dei venditori ambulanti siciliani- Francesca Adragna
- 23 settembre 2024
Prima degli influencer, prima degli spot e dei post, ma pure prima del Carosello, la merce si vendeva a voce o meglio a vuci, abbanniate. Il termine siciliano abbanniare/abbarniare significa letteralmente bandire, emanare, propagandare e, ormai in senso più lato, urlare, vociare. L’abbanniaturi è dunque il banditore/urlatore che propaganda la merce, il servizio che offre. Per rendere più vivida e chiara l’immagine basta pensare alla voce gracchiata che viene fuori dal megafono sul tettuccio del furgone dell’arrotino: “donne, è arrivato l’arrotino” o “si riparano ombrelli e cucine a gas”, che poi andrebbe spiegato meglio st’accostamento. Questa è propaganda che funziona già sul piano nazionale, sentita su qualunque strada percorra lo stivale e le sue isole.
Le abbanniate, invece, sono cosa nostra regionale, le senti per le strade siciliane, nelle piazze o negli slarghi, nei paesi dell’interno, sulle isole minori. A Marettimo, per esempio, dove c’è un unico market, nella bella stagione, quando il villaggio si riempe di ospiti e turisti, sbarca dal traghetto un camioncino che propone roba d’uso immediato usando una grammatica ed un accento marcatamente siciliani: “piattaaa, bicchieraaa, paniereee”… sono i plurali alla latina, se vogliamo dare un valore temporale alle locuzioni.
Sempre in zone costiere a San Vito lo Capo, come allo scalo d’alaggio, nei pressi del porto peschereccio senti abbanniare e abbinare il pesce: “Ope, ope, chi belli ope chi haju” e se in zona ci fosse un vero mercato “u cuscusu vonnu” (il cous cous chiedono questi pesci da zuppa), oppure “u sucune vonnu” (riferito alle lumache che desiderano che tu le sugga per essere gustate). Le atmosfere che creano queste propagande gracchiate o urlate nelle strade dei nostri paesini, profumate di pescato fresco, di olive “cunzate” ed origano sono irrinunciabili, ma pure in città si continuano a sentire accattivanti abbanniate come quella del rivenditore di sale, che caricata la sua ape di sacchetti di un bianco brillante, la guida all’interno dei quartieri sotto i condomini avendo cura di far sporgere la caviglia inciabattata, dal predellino dell’ape stessa o tenendo con una mano il volante e con l’altra la maniglia dello sportello aperto, mentre dal microfono dell’altoparlante avvisa le massaie che presuppone intente in cucina: “Signùra! Dumani un miegno” (domani non vengo), non mi trova e resta senza sale è sottinteso.
C’è tutta la filosofia della mancanza e dell’urgenza dell’acquisto in questa abbanniata, tecniche psicologiche ed espedienti commerciali. Una sorta di prontuario di abbanniate e tiritere, ovvero filastrocche del lessico domestico siciliano, cioè quella serie di modi di dire e locuzioni usate in questo o quel frangente specifico, è in fase di stesura a cura del professore Salvatore Corso, teologo e storico già autore di diversi saggi sul territorio trapanese ed ericino.
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