Le Sante in Sicilia: Santa Rosalia e Sant'Agata

Le processioni di Palermo e Catania

A Palermo e Catania ci sono due maestose celebrazioni religiose, entrambe patrimonio dell’umanità.

Dai più religiosi ai meno devoti, a Palermo tutti amano Santa Rosalia. Leggenda narra che salvò la città dalla peste, apparendo a un cacciatore sul Monte Pellegrino e rivelando dove trovare i suoi resti mortali. Le spoglie di Santa Rosalia, portate in processione, fecero cessare l’epidemia; da quel momento diventò protettrice e patrona di Palermo. Oggi l’enorme statua domina dal Monte Pellegrino, ma è il 14 luglio che avvengono le sontuose celebrazioni in suo onore.

Dal 10 al 15 luglio “U Fistino” anima la città, mentre magnifici effetti luminosi illuminano la Cattedrale. Diversi artisti sviluppano il tema del miracolo della peste e tra il 14 e il 15, il carro con la statua percorre le vie principali di Palermo, in un viaggio che dalla morte (la peste) arriva alla vita, rappresentata dall’arrivo a mare e dallo spettacolo pirotecnico (“a masculiata”) che conclude i festeggiamenti. Oltre ai riti religiosi e popolari, c’è la tradizione culinaria che prevede di mangiare: “babbaluci” (lumache) o pasta con le sarde e per strada si consumano semi vari (“simienza”).

A Catania fede e folklore si intrecciano all’ombra dell’Etna tra il 3 e 6 febbraio. La Santa, affettuosamente chiamata “Santuzza”, nel III sec. d.C, a 15 anni, fece voto di devozione cristiana, a cui tenne fede rifiutando il proconsole Quinziano che s’invaghì di lei. Questi la fece processare e Agata morì cristiana e salda nella fede, dopo terribili torture, il 5 febbraio del 251. Quella di Sant’Agata è la terza festa religiosa cattolica più seguita al mondo. Si comincia con la processione della Candelora: alti ceri riccamente decorati che rappresentano le antiche corporazioni della città, che avanzano dondolando (“l’annacata”) insieme a una carrozza settecentesca. Ma è il 5 febbraio che le reliquie della Santa attraversano la città in un fercolo d’argento, attorniato da garofani bianchi, simbolo di purezza (mentre quelli rossi, del giorno precedente, simboleggiano il martirio).

Il carro con il fercolo, che pesa circa 30 quintali, è trainato da centinaia di fedeli, grazie a lunghi cordoni e tutti indossano il saio votivo (u saccu), mentre insieme alla folla gridano: “viva Sant’Agata”.

Il momento cruciale della processione è la via di San Giuliano, per la sua pendenza: l’esito del trasporto indica buono o cattivo auspicio, poi la processione si conclude con i fuochi d’artificio. Prima che arrivi la festa dell’anno successivo, il 17 agosto si celebra il ritorno, avvenuto nel 1126, delle reliquie di Sant’Agata, con una processione meno sontuosa ma allo stesso modo sentita, intorno alla Cattedrale.

Anche a Catania esiste una tradizione culinaria e per la festività sono tipiche le piccole cassate dette: “minne di Sant’Agata”, che ricordano il martirio dei seni della Santa, così come le olivette di pasta di mandorla, ricordano l’ulivo comparso per farla sfamare e nascondere.

In entrambe le città, quando si riconsegnano i simboli sacri e si chiudono i festeggiamenti, i volti dei devoti sono segnati dalla stanchezza, i muscoli fanno male e la voce è ridotta a un filo sottile; ma la soddisfazione di aver portato in trionfo la propria Santa, riempie di gioia, ripaga di tutte le fatiche e rafforza il senso di appartenenza alla città.

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