Sapori, cultura e tradizioni di Trapani
U Ciàuru di una terra baciata dal mare- Laura Di Trapani
- 29 luglio 2011
Non è forse il profumo, u ciàuru, la prima cosa che ci colpisce appena arrivati in un posto nuovo?
U ciàuru della mia terra è fatto di molte cose, di vento, di mare, di tavole apparecchiate e di sole. Tutta avvolta in un mantello di schiuma di mare che la abbellisce,
Trapani si presenta come un lembo di terra a forma di falce. La leggenda vuole che Cerere, madre di Proserpina e dea dell’Olimpo, nella disperata ricerca della figlia rapita da Ade, avesse lasciato cadere a terra la sua falce. Da lì sarebbe nata Trapani.
La simbolica forma di falce è solo il primo elemento di vicinanza della città con il mondo dell’agricoltura e dell’enogastronomia in generale. Il legame è denso e spesso si mischia con il sacro e con il profano.
Cibo e Sacro
Questa terra ha conosciuto la fame ed ha dovuto lottare con i suoi fantasmi. Ecco perché affidarsi alla religione ha sempre costituito un modo per invocare aiuto, protezione per il raccolto o il pescato. Le mattanze in tonnara sono sempre state precedute dalla benedizione delle reti da pesca e da una processione con preghiere a Sant’Antonio. Ancora oggi tra le vie del centro storico nel quartiere dei pescatori con molta fortuna si può assistere a riti sacri e profani per scongiurare la cattiva sorte in mare. La processione dei Misteri del venerdì santo, la più sentita in città,è l’esempio più calzante di questa ritualità. Organizzata dalle maestranze locali, la processione ed i gruppi di statue da cui è composta,vengono tradizionalmente curate ed allestite dai “misteri”, i mestieri cittadini e dunque da pastai, ortolani, pescatori, così come da scalpellini e muratori…
Una presenza determinante è poi quella della Madonna di Trapani, la signora dei pescatori, che viene invocata come protettrice delle anime dei naviganti e del loro bottino di mare. Una copia identica all’originale in marmo (collocata nell’omonimo santuario) si può vedere tra la fine della banchina del porto e l’inizio della cala dei pescatori.
Quella di Trapani non è la sola Madonna giunta dal mare, anche a Cornino, piccolo borgo marinaro alle pendici del monte Erice, si svolge una processione che è l’ennesima forma d’amore dei pescatori per la Vergine. Questa volta però parliamo di un quadro che ogni anno alla fine di agosto viene portato in processione sul mare da un gruppo di barche di devoti. La Madonna di Custonaci, secondo la leggenda, avrebbe portato in salvo una barca durante una tempesta assicurandosi per sempre l’amore di tutti gli abitanti dell’agro-ericino.
“La madonna delle conchiglie
Ha gli occhi come biglie, come coralli
È vestita di drappi azzurri
Come a una perla le fanno ventaglio.
Ha lo sguardo dolce e un poco lontano
Di chi per tanto ha navigato invano
Ha lo sguardo dolce e un poco assente
Di chi ti capisce, e non può farci niente.”*
Cibo e Profano
Erice, la montagna incantata sarebbe stato luogo di pellegrinaggi e tempio di sacerdotesse mille anni prima di Cristo. Qui si consumavano copiosi banchetti di ogni specialità portata in cima alla montagna dagli stessi pellegrini.
Le feste erano seguite da riti pagani con le jerodulai, le bellissime vestali ericine. Il culto diventò poi quello romano della Venere ericina e successivamente quello cristiano della Madonna.
I festeggiamenti furono trasformati da pagani in cattolici e la stessa Venere si trasformò in Madonna con lo stupore di tutti.
Le celebrazioni che si tengono ogni anno sono certamente sacre e profane allo stesso tempo, perché vi si svolgono messe e processioni con tanto di fuochi d’artificio e canti popolari.
Sacro e Profano a tavola
Quel che è stato del legame del cibo con il sacro e profano resiste ancora oggi, basta entrare in qualunque pasticceria o gastronomia per assistere ad una sfilata di nomi di piatti che hanno a che fare con i santi: sfincioni di S. Giuseppe, biscotti di S. Martino, chiavi di S. Pietro, torrone di S. Giovanni …
La tradizione gastronomica trapanese riesce a resistere all’oblio del tempo grazie alla conduzione matriarcale della sua cucina. Tra pentole di coccio e tegami si consuma ogni giorno il rito della trasmissione dei saperi da madre a figlia. E qui il cibo diventa la propria identità, un credo, una religione. Mantenere vive le proprie ricette è come mantenere viva la propria storia.
Si è parlato di cucina povera contro la cucina baronale, tra le due non c’è dubbio che sia la prima a dominare sia per diffusione di ricette che per gusto. Proprio il gusto è la vera e propria rivincita morale del povero, che non invidia il cibo dei ricchi ma che mangiando un piatto povero si bea di degustare “u megghiumanciari”. E poi, chi avrebbe il coraggio di affermare che un piatto come il couscous di pesce sia un piatto davvero povero? Il gusto si ribella a questa definizione, perché sono le papille gustative a comandare, sempre.
“Il mare è una cintura di spine che cinge la vita del giorno, che cinge il ritorno”*
*Tratto da “Marinai, profeti e balene” album di Vinicio Capossela, 2011.
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