U strattu di pumaroro (estratto di pomodoro)
Pomodoro e sole di Sicilia- Antonella Poma
- 23 febbraio 2023
Alcuni chef sostengono che numerose ricette siciliane non sarebbero le stesse senza la sua presenza: può impreziosire piatti che necessitano di lunghe cotture; infonde colore e aromi tipici, crea corposità nelle preparazioni in cui viene usato.
Di cosa si sta parlando? Ma del concentrato di pomodoro che in Sicilia viene chiamato “U strattu”, il nome letteralmente significa estratto, deriva quindi dalla parola “estrarre”, ed effettivamente dal pomodoro vengono estratti tutti i sapori, i profumi e i colori che si concentrano in questa delizia dal gusto forte e gradevole.
Va a finire nella zuppa del cùscusu alla trapanese, nella “Pasta c’anciova e muddica atturrata” tipica del catanese, nella pasta con le sarde a mare del palermitano, nella “pasta co sugu finto” tipica del ragusano e più in generale negli stufati, in ragù e spezzatini.
Servono solo pomodori, sole e tanta dedizione. Un tempo non troppo lontano le famiglie si riunivano per fare la salsa di pomodoro di mattina molto presto, o di notte per evitare la calura estiva. I pomodori venivano ripuliti dal “Piricuddo” (picciolo) e selezionati. Le mani in questa fase diventavano di una colorazione giallo-verdognolo per via dello zolfo presente sui pomodori.
Questi poi venivano lavati accuratamente e scottati in acqua all’interno di un “Quararu”, un grosso pentolone di rame o alluminio posto su legna ardente. A questo punto, una parte del pomodoro passato veniva destinato alla produzione di “Bottiglie”, la conserva per l’inverno;
Le maidde messe al sole fungevano da essiccatori rudimentali da cui uscivano fuori pomodori secchi, fichi secchi e naturalmente anche il concentrato di pomodoro.
Le massaie mettevano le maidde al sole dell’astracu (terrazzo) o fuori davanti la porta, le più attente le ricoprivano con un telo di tulle per evitare che gli insetti facessero “festa”, ma c’era anche chi non era molto attenta all’igiene.
Di giorno al sole e di sera in casa per evitare che “l’acquazzina”, cioè l’umidità della notte e la rugiada, facessero andare a male u strattu.
Quando era perfettamente asciutto e poteva staccarsi dalla maidda senza lasciare sporco, lo strattu veniva conservato in vasi di vetro o di coccio rabboccati con uno strato di olio EVO per evitare ammuffimenti in superficie.
Era così pronto per arricchire e scaldare nelle fredde giornate d’inverno numerosi piatti…
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