Lo sfincione di San Giuseppe
Il dolce della tradizione- Antonella Poma
- 7 marzo 2023
San Giuseppe, sposo di Maria, padre putativo di Gesù, ma anche protettore dei poveri e dei falegnami, è uno dei santi più amati in Sicilia, e lo dimostrano anche le numerosissime processioni, le feste e le persone chiamate “Giuseppe”.
In Sicilia in particolare, ma anche in tutta Italia, il 19 Marzo si compie una dolce operazione, si friggono bontà di ogni genere: bignè, zeppole, ciambelline, zeppole di riso: dolci semplici, ripieni, glassati, ricoperti di zucchero o miele, ma tutti accomunati da una sola tecnica di cottura: la frittura. Si racconta, infatti, che San Giuseppe per sbarcare il lunario, oltre al falegname, facesse anche il friggitore.
A Trapani in onore del santo si frigge. Si frigge talmente tanto che nelle strade l’inebriante profumo di pasta fritta ti conduce alla prima pasticceria per comprare un vassoio di sfinci di San Giuseppe.
Sarebbe meglio dire “Sfincioni di San Giuseppe” dato che a Trapani per le notevoli dimensioni vengono chiamati proprio così.
Poiché dedicati al protettore dei poveri e degli umili, umili e semplici sono pure gli ingredienti usati in questo dolce. In sostanza si tratta di bignè fritti nello strutto, dalla forma irregolare, farciti di crema di ricotta e decorati con frutta candita e, a piacere, anche con granella di pistacchio o gocce di cioccolato. Il nome significa spugna e, tutt’oggi, molti studiosi litigano sull’origine del nome.
Per alcuni deriverebbe dal latino spongia e dal greco sponghìa, per altri avrebbe origini arabe derivando dall’arabo “isfang” o “sfang”. Una cosa è certa, furono inventati dalle suore del Monastero delle Stimmate di Palermo come dolci poveri coperti di miele da consumare per la Festa di San Giuseppe, ma nel tempo i pasticceri locali ne arricchirono progressivamente le caratteristiche, fino a farlo diventare il contenitore strabordante di ricotta dai colori sgargianti che è oggi.
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